A Sanremo una vittoria di Carta:
il "pretty man" incoronato dai suoi fans
Vittoria della banalità, un sabato tra "Amici"
Secondo Povia senza sorprese. Terzo Sal da Vinci
di Simona Orlando
SANREMO (21 febbraio) - Mancava la tuta blu e sembrava di essere alla finale di Amici. O in uno di quei programmi sui ricongiungimenti familiari. Figli di Maria. “La forza mia” vince il 59° Festival di Sanremo, un brano banale su tutti i fronti, penultimo secondo il gusto dell’orchestra che oggi ha votato i campioni in gara. E dire che quegli “elementi” qualcosa capiranno di musica. Ha vinto lui, Marco Carta, la sua storia, la favola da Pretty Man che dalla lontana Sardegna parte per Cinecittà, lascia il mestiere di parrucchiere e diventa una stella. La forza sua non è stata né la canzone né la voce, ma lo zoccolo duro dei fans, entusiasti di sostenerlo e scattanti sul sistema del televoto. Una canzone da format televisivo, perché per quanti giri e cerchi si possano fare al suo interno, a Sanremo si rimane sempre nella stessa quadratura.
Secondo classificato Povia. Ha avuto ragione lui, alla fine. Ragione a far partire la pubblicità da lontano, ragione a ritenere, da artista coscienzioso, che se hai una opportunità all’anno per dire qualcosa, dici quella che meno rappresenta la verità e che più ferisce una categoria. Come solitamente capita quando uno punta il dito alla luna, lo sciocco guarda il dito. La questione centrale non era la libertà di espressione (figuriamoci se nell’arte si può essere censòri), ma la responsabilità del messaggio. Possibile che un artista, che di storie vive, debba raccontare proprio questo particolarismo in un periodo di recessione culturale prima che economica? Lo diceva De André che tutti citano ma dal quale nessuno impara: «Scrivere canzoni sta diventando una responsabilità sociale ma se ne sono accorti in pochi».
Difficile comprendere cosa piaccia di lui agli italiani. Non si può dire la trasparenza di comportamento visto che nel 2005 fu espulso da Sanremo non perché aveva sbadatamente canticchiato la canzone sotto il portone ma perché l’aveva già eseguita al noto Festival di Recanati. Ci provò, fu cacciato dalla porta e rientrò dalla finestra grazie alla campagna sul Darfur ma il suo discografico sostiene che quei soldi promessi, lui, non li ha mai devoluti. Dubbi maggiori si dovrebbero nutrire sulla sua fertilità artistica perché in questa edizione ha portato una canzone che è per metà “Pensa” di Fabrizio Moro e nella parte finale “Ti regalerò una rosa” di Simone Cristicchi (ci si può cantare sopra la lettera del matto Antonio a Margherita e sul palco non si fa mancare né la sedia né la simulazione di volo). Moralmente vince lui, chi perde è la povera Vladi che dopo il trionfo all’isola pensava che gli italiani fossero più aperti dei loro politici. Terzo classificato Sal da Vinci, entrato nella sezione campioni pur essendo sconosciuto ai più, eliminato nella serata di mercoledì, ripescato subito dopo e salito sul podio dei tre. Chi si sbalordisce non sa quale potenza produca la solidarietà campana e la sponsorizzazione del loro eroe Gigi D’Alessio, autore del brano.
Il risultato evidenzia che la maggiore falla di quest’anno, a livello tecnico, è stato il sistema di voto, confuso, poco sicuro, in sala affidato a una curva da stadio, a casa agli investimenti di amici, parenti, fan club e nuclei vari, senza mai consultare una giuria di qualità.
Un sabato fra Amici. Ecco quello che è stato. Chi è capitato su Rai Uno in preda allo zapping avrà pensato di aver sbagliato a digitare i tasti. Invece no. Quella era proprio Maria De Filippi, sulla rete che in molti hanno ribattezzato Raiset. E sì perché ci si deve dimenticare la divisione in scuderie, la spartizioni di canali e di partiti, le strategie di contro programmazione: stavolta una mano lava l’altra e tutti e due lavano la faccia (e la salvano) di questa edizione. Chiamando la regina degli ascolti Bonolis si è assicurato sin dall’annuncio della sua presenza il boom, senza Bim e senza Bam. Stamane, in conferenza stampa, ha dichiarato: “Non è una recita, lei ha realmente paura di questo palcoscenico”. Vero era vero, è apparsa emozionata come una debuttante (nella prima fase vestita da adolescente, truccata e coi capelli indietro), intimorita dal suo primo passo in Mamma Rai al punto da vivere il suo momento cercando lo sguardo di Bonolis e non quello della telecamera.
In trasferta, lontano dagli studi di Cinecittà in cui si muove come dentro casa sua, si trovava un po’ a disagio e questo, invece di danneggiarla, l’ha resa più tenera. Per l’occasione ha dovuto apportare un po’ di modifiche: lei che ama il casual ha indossato abiti d’occasione, lei che dirige dal lato, seduta sugli scalini tra il pubblico, più disposta a cedere il microfono che a intervenire, lei che smista le discussioni (in realtà lascia che gli interlocutori si scannino fino ad esaurimento), ha dovuto caricarsi il peso della centralità. Per il resto è quella che conosciamo, il sorriso impigliato a metà, tra il giubilo e il ghigno, la voce cavernosa, la erre moscia, l’allure da texana, la severità mista a mitezza, e agli italiani piace così. Come piace Paolo, con la battuta sempre sul chivalà, la romanità sordiana, l’aspetto da buon padre di famiglia. In questo festival ci ha messo passione, lo confermano tutti gli artisti ai quali ha riservato mille attenzioni. Gli Afterhours, all’opposto del mainstream che lui rappresenta, lo adorano, i finalisti del Sanremoweb (tra loro ha vinto Ania), anche se non hanno avuto la visibilità ingenuamente sperata, lo hanno definito una persona splendida che ad ogni pausa pubblicitaria li ringraziava, chiedeva se avevano bisogno di qualcosa e andava personalmente a prendere per loro le bottiglie d’acqua. Stasera il confronto fra classico e moderno è stato affidato al ballerino Giuseppe Picone e alla cantante Caroline A.Rice, “Lago dei cigni” contro “I love boogie”. La standing ovation è stata per Arisa, il gioiellino estratto da Sanremolab con “Sincerità”, e non è mancato il momento di solidarietà, rivolto agli ai cassaintegrati della Alfa Romeo di Pomigliano, che nel pomeriggio avevano raccontato in sala stampa cosa voglia dire vergognarsi, a fine mese, di consegnare la busta paga di 750 euro alla moglie. Gli ospiti sono stati l’attore francese nonché marito di Monica Bellucci Vincent Cassel (siccome aveva confessato di non conoscere il Festival di Sanremo, Bonolis si è vendicato dicendo di non conoscere il Festival di Cannes) e la scozzese Annie Lennox, (il suo Greatest Hits è in uscita) che ha regalato“Why” in una versione solo piano e voce e“No more "I Love You's". Con la sua esibizione è stato recuperato quel senso di musica intensa e soggetta alle oscillazioni sentimentali del momento, ben distante dal compitino da festival a cui ci siamo abituati in questi giorni.
Alla fine il Festival moribondo si è ripreso. Ingurgitando ogni possibile medicina: i film d’autore, la musica classica, la lirica, la danza, la letteratura, la beneficenza, gli attori, le ancelle per tutti i gusti (dalle stelle dell’opera a quelle a luci rosse e finalmente siamo scampati al rimbalzo fra la mora e la bionda) e per, par condicio, adoni da copertina (stasera è toccato a David Gandy, lo slip D&G rinominato da Bonolis “Nostro signore di faraglioni”), infine la spalla mai mancante Luca Laurenti (in questa puntata cantante fuori gara con la sua “Sogni d’oro”).
In gara Bonolis ha adoperato lo stesso criterio per soddisfare ogni palato: dai reality ha pescato a piene mani (Silvia Aprile da X factor, Marco Carta e Karima da Amici, Dolcenera da Music Farm), ha aggiunto un po’ di tradizione con Fausto Leali, Al Bano, Iva Zanicchi, Patty Pravo, un po’ di polemica con Povia e Masini, un po’ di rap con i Gemeli Diversi, di jazz con Nicky Nicolai e Stefano Di Battista, di colore partenopeo con Sal Da Vinci, di artisti stimati nel pop-rock come Tricarico e Renga, ha azzardato l’ingrediente Afterhours. La pozione ha funzionato, pur non avendo la spezia aggancianaso degli ospiti internazionali.
Qualche novità, per quanto ha potuto, l’ha portata. Ha cercato di snellire i tempi (far perdere peso a questo vecchio pachiderma non è affatto semplice), si è prodigato per ravvivarlo con gag che non togliessero troppo spazio alle canzoni (“Mi sembrava di essere Ben Stiller in “Una notte al museo” dove all'improvviso quello che era immobile ha cominciato a muoversi”), e soprattutto ha tentato di capire cosa c’è oltre la porta. Il concorso sul web è stato un successo anche se dopo questo numero zero andranno rivisti i metodi di voto (chi più spende più si espande non è regola che renda giustizia alla musica). I dieci finalisti sono venuti a proprie spese e hanno storie che fanno tenerezza: i bravi Malamonroe hanno fatto volantinaggio a Milano, stampato e distribuito flyer in dialetto per tutti i paesini marchigiani e la sera, invitati all’Ariston, si sono messi l’abito buono cambiandosi nel parcheggio, mentre i B-mora hanno indetto una lotteria in Puglia e regalato peluche e un viaggio per quattro persone all’estero per attirare un po’ di attenzione su di sé. Segno che i giovani rispondono, se chiamati, e chissà che Bonolis non attinga a questo bacino per il prossimo cast. Scelta discutibile quella di accettare solo nuove proposte accompagnate da padrini famosi ma anche giustificata, visti i risultati: la potenza dei loro duetti giovedì ha reso addirittura fiacchi i duetti dei big di venerdì. Il ribaltamento dei ruoli è un’altra novità di questa edizione, dove le canzoni delle nuove proposte erano spesso nettamente superiori a quelle dei campioni. La rivoluzione non si fa cambiando le regole ma i contenuti.
Bonolis bene, bravo, tris?
Lui tornerà forse, il Festival di sicuro. Continuerà questo marasma, in cui ogni momento è distratto da quello successivo, dove la musica è chiacchierata ogni volta che viene cantata. Aspetteremo che nel golfo mistico ci sia qualche rivelazione.
IL MESSAGGERO
P.S. Parole sante...
